Resiliente si nasce o si diventa?
La resilienza è presente in potenza in tutti gli esseri umani fin dalla nascita. Non è, però, un tratto stabile di personalità. Si tratta di una vera e propria abilità, il cui sviluppo è legato al sano sviluppo bio-psico-sociale della persona. Essa deve essere educata ed allenata nel corso di tutta la vita.
In presenza di una crisi o evento stressante – acuto o cronico che sia – ciò che determina la qualità della nostra resilienza è, infatti, la qualità delle soft skills personali e dei legami costruiti e rafforzati fino ad allora.
Essere resiliente significa:
- essere consapevoli dei propri attuali bisogni e dei propri limiti;
- saper riconoscere e stare con le emozioni che si provano momento per momento;
- Avere un focus di valutazione interno e fidarsi di potercela fare di fronte alle difficoltà – vederle come una componente inevitabile della vita, ma transitoria, circoscritta e dovuta al concorso di più fattori;
- essere capaci di autoregolare il proprio comportamento, tollerando la frustrazione e differendo la gratificazione del qui-ed-ora per perseverare nel raggiungimento dei propri obiettivi.
Educare alla resilienza è importante quanto essere resilienti!
Che io sia genitore, insegnante o team leader le mie scelte avranno l’effetto di facilitare o ostacolare la resilienza delle persone che a me fanno riferimento.
Se costruisco un’ambiente relazionale facilitante, mio figlio, il mio studente, il mio team avrà l’opportunità di sperimentare e allenare la sua resilienza, rafforzandola esperienza dopo esperienza.
Riprendiamo l’esempio di prima.
Se sono il genitore di quel bambino che è in difficoltà con i compiti a casa, lo educherò alla resilienza ogni volta che riuscirò a fidarmi della sua capacità di tollerare il senso di inadeguatezza e la frustrazione di fronte al quaderno. Quando confido che lui/lei, con i suoi tempi e con le sue emozioni, riuscirà ad attivare la competenza di problem solving e trovare il suo personale modo di uscire dalla difficoltà, gli starò dando l’occasione di attivare la sua abilità. Per fare questo devo essere disposto a mettere il mio bisogno di “bravo” genitore, in secondo piano rispetto al suo bisogno di crescere e realizzare sé stesso. Devo essere io, per primo, capace di tollerare la mia frustrazione rispetto all’incompetenza di mio figlio. Devo essere capace di non sostituirmi a lui facendo il compito al suo posto o suggerendogli cosa deve fare. Devo, piuttosto, stare al suo fianco, sostenendolo, nell’attesa che sia lui a trovare la sua soluzione al problema (che detto tra noi è perfettamente calibrato per la sua età).
In sostanza, la vita quotidiana con le sue piccole e grandi sfide, con gli imprevisti, gli errori, le occasioni di confronto e conflitto ci offre mille occasioni per educare alla resilienza noi stessi e le persone con le quali viviamo e lavoriamo. Non abbiamo che l’imbarazzo della scelta.
Oltre a ciò, per educare alla resilienza è possibile creare dei contest formativi ad hoc – come seminari, corsi, laboratori – e mettere a disposizione libri e riviste. Teniamo presente, però, che la resilienza non si apprende in teoria, ma si pratica nel quotidiano.
Concludo questo breve articolo con le parole di C. S. Lewis:
“Le difficoltà spesso preparano le persone normali ad un destino straordinario”.