#IOUSOBENEILMIOTEMPO

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Facilitiamo i nostri figli a vivere un tempo di qualità

C’è chi, come David Allen, decide di scriverci un libro e farne il business della vita. Ci sono aziende grandi e piccole che investono in programmi di formazione per le risorse umane. Chi sviluppa software e applicazioni; chi scrive articoli; chi organizza convegni. Il Time management è un tema di grande interesse e attualità. 

Partito nell’ambito professionale come strumento per ottimizzare la produttività, l’interesse per l’abilità di organizzare il proprio tempo ha investito oggi la dimensione privata in quanto riconosciuta fondamentale per una vita di qualità.

Essendo un trainer esperto nel potenziamento delle soft skills, mi è capitato spesso di condurre corsi sulla “Time management” per aziende grandi e piccole. 

Interessante! Vorrei , ma non posso. Non ho tempo… 

Molte delle persone che ho incontrato, sebbene lamentassero scontento per il loro abituale modo di gestire gli impegni e manifestassero interesse verso i nuovi strumenti proposti, hanno dichiarato una difficoltà/impossibilità ad implementarli nel quotidiano a causa – appunto – “del poco tempo disponibile”.

Oggi, 13 marzo 2020, ai tempi del Corona Virus abbiamo tutti un sacco di tempo a disposizione. Quale migliore occasione per allenare questa competenza così importante per il nostro successo personale e professionale? Che splendida opportunità per insegnare ai nostri figli come utilizzare al meglio tale abilità!

Per insegnarla alla prole, infatti, dovremo prima di tutto agirla noi 🙂  Il modelling è una delle strategie pedagogiche più potenti ai fini dell’apprendimento significativo.

Il punto è: come?

Qual’è il modo migliore per farlo?

Se veramente vogliamo facilitare nostro figlio nell’apprendere come organizzare il tempo disponibile, la prima cosa da fare è mettere al centro il bambino/ragazzo. Quanti anni ha? Quali sono i compiti evolutivi e le competenze tipici della sua fase di sviluppo? Cosa lo interessa? Qual’è il codice di linguaggio che meglio comprende?

Il secondo passo consiste nel predisporre un ambiente di apprendimento sicuro, all’interno del quale il nostro apprendista possa muoversi in totale libertà. In questo modo potrà fare esperienza diretta con l’oggetto di apprendimento: il tempo. 

La sicurezza va intesa in senso biologico, affinché tuteli bioritmi e salute: ciclo sonno/veglia; alimentazione; igiene e simili. È opportuno, però, che l’ambiente di apprendimento sia sicuro anche da un punto di vista psicologico e relazionale. Va mantenuto, cioè, libero dal giudizio così che al suo interno nostro figlio possa sentirsi sollevato dall’ansia da prestazione, accettato per la sua incompetenza, rispettato per le emozioni che prova. Il nostro ruolo, per dirla alla Bolby (1989, Raffaello Cortina Editore) funziona se è quello di fornirgli una base sicura dalla quale essere sostenuto nella generazione di idee originali e nella loro applicazione; con la quale condividere l’entusiasmo e l’orgoglio per i successi; grazie alla quale trovare conforto e contenimento per le emozioni legate a errori e fallimenti.

Facciamo degli esempi concreti.

Se nostro figlio/a è un bambino molto piccolo (0-6 anni) sarà importante dividere la giornata in sezioni, chiaramente riconoscibili grazie a vere e proprie routine. Potremo, ad esempio individuare spazi temporali dedicati al sonno, ai pasti, all’igiene, al gioco e utilizzare dei semplici rituali per aiutare il bambino a comprendere il passaggio da una situazione all’altra. Se i primi 3 momenti, in questa fascia di età, è vantaggioso siano gestiti dall’adulto, nello spazio temporale dedicato al gioco potremo sicuramente fidarci che il/la bambino/a sarà in grado di decidere quanto tempo dedicare ad un’attività piuttosto che ad un’altra.

Se ci relazioniamo con un adolescente (11 – 25 anni) le cose cambiano. Tolti alcuni momenti di attività condivise dall’intera famiglia, per i quali la gestione del tempo è necessariamente etero-determinata, in questo caso nostro figlio è pronto (anche da un punto di vista neurologico) ad imparare come organizzare la sua giornata-settimana-agenda. 

Molto probabilmente all’inizio sarà spaesato dall’abbondanza del tempo a disposizione e – soprattutto – dall’assenza di indicazioni-consigli-ordini-giudizi. Secondo il principio di attacco/fuga, potrebbe tentare di riempirlo in modo compulsivo di tutte le cose che gli passano per la testa; oppure aggrapparsi disperato alle vostre caviglie implorandovi di dirgli cosa deve fare. Altra concreta possibilità è che lui resti immobile, impantanato nel tempo disponibile, arenato su un letto o su un divano, con lo sguardo perso nel vuoto o nello schermo di un attrezzo elettronico.

In tutti questi casi il vostro ruolo è determinante! 

Accrescerete in lui/lei autostima e autoefficacia se sceglierete di “stare senza intervenire” fattivamente. Inviategli, piuttosto, concreti messaggi di fiducia sulle sue competenze. Messaggi centrati soprattutto sul non verbale e congruenti tra ciò che dite e come agite.

Certo la sfida è sospendere il vostro giudizio; gestire le vostre emozioni. Frustrazione, fastidio, noia, disappunto, preoccupazione, delusione, ansia, gelosia, invidia, rabbia: qual’è la vostra? Io ce l’ho tutte!!!

La parola d’ordine è FIDUCIA. 

Fidatevi che contattare la noia, aiuterà la persona che amate di più al mondo e che volete aiutare a diventare adulta ad attivare pensiero laterale e problem solving. Fidatevi che quell’essere è un essere resiliente fatto per autorealizzarsi e relazionarsi positivamente con gli altri. La sua natura lo porterà fisiologicamente a non tollerare, oltre un certo limite, la frustrazione legata al vuoto. Si attiverà per riempirlo, quel vuoto. Magari guardandosi intorno si accorgerà di voi, incuriosito vi prenderà a modello. Se si fida che non lo giudicherete, che non tenterete di togliergli potere, potrebbe avvicinarsi e chiedere il vostro aiuto. 

Aiuto? A me? E adesso che faccio?

Potrei rispondere: “ Te l’avevo detto!” pensando “Non aspettavo altro” – con un ghigno soddisfatto e giudicante. Risultato? Avrò mandato in fumo tutto il lavoro fatto.

Meglio utilizzare il tempo che abbiamo a disposizione per prepararci all’evento.

Leggi #giococoniltempoperimparareagestirlo

Genitori Efficaci in 4 mosse

Genitori Efficaci in 4 mosse

 

 

 

 

 Come costruire una relazione efficace e duratura con i propri figli in 4 mosse

 

 

 Da quando sono diventata mamma non passa giorno senza che io riprometta a me stessa di impegnarmi al massimo per essere utile a mio figlio Gabriele. Per riuscire, cioè, a fare/dire le cose “giuste” per sostenerlo nel suo percorso di crescita verso la maturità ed aiutarlo ad apprendere comportamenti e valori utili a superare con successo le piccole e grandi sfide quotidiane.

 

 

 Cuoca, cameriera, tuttofare, autista, bodyguard, consigliera, coach, estetista, bancomat, velocista, multitasking…

 

 

 … sono soltanto alcuni degli svariati ruoli che interpreto nell’arco delle ore giornaliere nel tentativo di essere la “mamma perfetta”.

 

 

 Risultato?

 

 

 Mi ritrovo spesso a provare una sensazione di inadeguatezza.

 

 

 Uno spiacevole, leggero, sottile, latente senso di colpa. A volte legato all’incertezza: avrò fatto le scelte giuste? Altre volte dovuto all’idea di non aver fatto abbastanza; che avrei potuto fare di più; impegnarmi di più. Per non parlare poi delle situazioni in cui mi rendo conto di aver agito comportamenti e scelto parole contrari ai miei valori.

 

 

In effetti nutro nei confronti di me stessa precise aspettative: in quanto persona in generale e come mamma in particolare.

 

 

L’obiettivo in qualità di genitore, è Fare la differenza! “essere capace di arrivare al risultato”: che, nello specifico consiste nell’aiutare Gabriele a realizzare pienamente sé stesso come individuo e come membro di una comunità. Intendo essere per mio figlio, una persona significativa: per la sua crescita e per il suo apprendimento. In poche parole: voglio essere un genitore efficace.

 

 

Ma, quali caratteristiche deve avere un genitore efficace?

 

 

Rispondo a questa domanda facendo riferimento a quanto raccomandato dal dr. Thomas Gordon nel suo famoso metodo Parent Effectiveness Training. Un metodo educativo i cui effetti positivi sulla crescita dei ragazzi e sulla qualità della relazione famigliare sono ben documentati da numerosi studi sul campo svolti in tutto il mondo.

 

 

Secondo questo metodo, noto in Italia come Genitori Efficaci, un genitore può dirsi tale quando:

 

 

  •  Aiuta il figlio alle prese con una difficoltà, lasciando a lui la responsabilità di trovare la soluzione;
  • Si confronta in modo autentico con il comportamento del figlio quando è inappropriato o disfunzionale
  • Risolve i problemi con equità, applicando la filosofia del “vincere insieme” per risolvere i conflitti famigliari
  • Condivide i suoi valori nel pieno rispetto di quelli degli altri.

 

 

 

 

    Vediamo queste 4 competenze nel dettaglio.

     

     

    Il genitore efficace aiuta il figlio a trovare la sua soluzione.

     

     

    Il sogno della maggiorate dei genitori che ho incontrato nel corso dei 15 anni di attività professionale sul campo (me compresa!), è fare in modo che il proprio figlio sia sempre sereno e non debba mai incontrare difficoltà o problemi di sorta.

     

     

    Pura illusione. Tra l’altro immaginate quanto sarebbe noiosa la vita se non incontrassimo mai situazioni difficili con cui confrontarci o ostacoli da superare.

     

     

    Eppure sovente mi capita di vedere un genitore intervenire al parco giochi per quietare una lite tra bambini che non vogliono cedere il posto sull’altalena, o condividere un giocattolo. Quanto spesso leggo nelle chat scolastiche, messaggi di mamme che si informano su quali e quanti compiti assegnano maestre e professori. Quante volte osservo genitori scrivere e inviare curricula con l’intento di aiutare il proprio figlio a trovare lavoro.

     

     

    Ogni volta che, spinti da buoni propositi, sgombriamo dagli ostacoli il percorso dei nostri ragazzi, ogni volta che indichiamo la strada da prendere o ci sostituiamo a loro nel risolvere un conflitto, li rallentiamo privandoli dell’opportunità di allenare la competenza decisionale facendo esperienza con il limite, la difficoltà, l’errore e tutte le emozioni che l’accompagnano.

     

     

    Quando, piuttosto, scegliamo di fidarci del loro potere personale, della capacità che hanno di apprendere dall’esperienza e di attivare le abilità di self-efficacy e problem solving, allora succede che i nostri figli sviluppano autonomia fortificando il senso di autoregolazione e di responsabilità verso le scelte che compiono.

     

     

    Qual’è, allora, il ruolo del genitore? Dovremmo forse, abbandonarli a loro stessi?

     

     

    Un genitore efficace, afferma Thomas Gordon, in tali occasioni è autenticamente interessato e disponibile ad ascoltare il proprio figlio con attenzione e partecipazione. Un ascolto che nasce dal rispetto profondo per le emozioni che il ragazzo prova. Un ascolto libero dal giudizio, che si da come obiettivo “facilitare l’altro a prendere consapevolezza dei propri bisogni, valori e aspettative” e – in base a quelli – individuare la soluzione migliore a breve, medio e lungo termine.

     

     

    Thomas Gordon chiama questo stile Ascolto Attivo e ne da una descrizione dettagliata nel libro Genitori Efficaci, edito da La Meridiana.

     

     

    Il genitore Efficace sa confrontarsi in modo autentico.

     

     

    Oggi Gabriele ha 18 anni.

     

     

    Fin da quando cercavo di dirgli a che ora andare a letto, come e quando mangiare, lavarsi, giocare, non è mai stato semplice insegnargli regole o aiutarlo ad apprendere abitudini funzionali al suo benessere. Spinto dai compiti di sviluppo, non ha fatto sconti, dandomi filo da torcere con i suoi numerosi NO e tentativi di forzare il limite.

     

     

    Quando aveva circa tre anni, mi sentivo scoraggiata e disorientata. Le cose non andavano come previsto! Ero indignata con me e intimorita dal giudizio altrui.

     

     

    Caso volle che per motivi professionali frequentai un corso Effectiveness Training nella versione dedicata agli insegnanti (corso accreditato al MIUR e valido per la Legge 107). Provai ad applicare con mio figlio gli strumenti di comunicazione assertiva, suggeriti dal metodo e FUNZIONAVANO! Mi accorsi che parlare a Gabriele utilizzando gli I-Message, lo aiutava non solo ad apprendere, ma soprattutto a comprendere e fare suoi quei comportamenti che io volevo che adottasse. Conoscere il metodo Genitori Efficaci mi ha ridato fiducia come mamma! Mi ha fatto sentire meglio con me stessa. Meno spaventata di sbagliare. Tanto che ho deciso di condividerne la conoscenza con altri genitori diventando Gordon Trainer IACP.

     

     

    La dimensione educativa è una componente fondamentale dell’identità genitoriale. I bambini alla nascita sono completamente dipendenti dalle figure adulte di riferimento per soddisfare i loro bisogni di sopravvivenza, sicurezza, relazione e realizzazione. Crescerli sani vuol dire accompagnarli in un percorso verso una sempre maggiore capacità di scegliere e agire autonomamente comportamenti funzionali al benessere. La strada verso l’indipendenza è tanto più agevole e lineare, quanto più il genitore sa costruirla su un sistema di regole che rappresentano per il figlio limiti chiari e indicazioni di comportamento all’interno dei quali muoversi, esplorare, sbagliare e apprendere.

     

     

    Un genitore efficace condivide con il figlio quali comportamenti ritiene appropriati nei differenti contesti e momenti della quotidianità, scegliendo uno stile di comunicazione chiaro e comprensibile. Comunica regole, limiti e conseguenze con un linguaggio in prima persona, congruente tra verbale e non verbale. Costruisce frasi scegliendo con cura parole e atteggiamenti capaci di generare nella relazione emozioni gratificanti che hanno un alta probabilità di costruire intorno alla regola, consenso e fiducia.

     

     

    Quando il figlio agisce in modo inappropriato, un genitore efficace sa confrontarsi in modo autentico. Con assertività, invia al figlio un messaggio che descrive dettagliatamente il comportamento disfunzionale; quali emozioni quell’agito suscita nel genitore e perché. In linea con l’obiettivo di promuovere e rafforzare il senso di autoregolazione e responsabilità del bambino/ragazzo, tale messaggio di confronto non contiene giudizi sulla persona che ha sbagliato ed ha una bassa probabilità di mettere a rischio la relazione.

     

     

    Il genitore efficace risolve i conflitti con equità.

     

     

    Quando una relazione tra 2 o più persone è breve e di scarsa importanza per chi ne è coinvolto, è possibile che non si verifichino contrasti o conflitti durante il suo corso.

     

     

    La relazione genitore/figlio – come del resto in generale tutte le relazioni famigliari – è di lunga durata e implica un grande coinvolgimento sentimentale per i protagonisti.  In una relazione di questo tipo le differenze, legate all’età e ai bisogni evolutivi, ai valori, alle aspettative in base al ruolo, spesso si traducono in divergenze di opinioni. Quando la relazione è sana e fondata su un clima di fiducia e di rispetto reciproco, le persone si sentono libere di sostenere il proprio punto di vista attivando il confronto.

     

     

    Il punto non è evitare l’esperienza del conflitto, ma gestirlo costruttivamente così da renderlo generativo di opportunità di crescita ed evoluzione per la relazione stessa.

     

     

    Mi piace pensare a mio figlio Gabriele come ad un coach che, confrontandomi su decisioni e limiti, mette alla prova i miei valori e le mie convinzioni con il risultato di rafforzare in me le abilità di relazione e risoluzione dei conflitti. Allo stesso tempo lui stesso affina le sue competenze relazionali e di gestione dei conflitti grazie ai miei NO che lo aiutano a crescere 😉 Ogni volta che succede ne usciamo rafforzati, consapevoli che continuiamo ad amarci pur nelle nostre differenze e che è possibile – anche se tanto, tanto difficile – trovare una soluzione che piaccia ad ad entrambi.

     

     

    Spesso, però, ci succede che il confronto si trasforma in un vero e proprio conflitto dove uno dei due vuole, tenta, cerca di vincere sull’altro; di portare a casa il risultato. Di solito la spunta chi ha più potere; ma la verità è che ci stiamo male entrambi. Proviamo malumore, delusione, scontento, senso di inadeguatezza, rimorso, rivalsa, frustrazione. Una serie di emozioni, insomma, che generano disagio tanto in me quanto in Gabriele.

     

     

    Capita anche a voi?

     

     

    Il genitore efficace, dice Gordon, usa il conflitto come opportunità per il figlio di fare esperienza e apprendere la gestione costruttiva di situazioni critiche che coinvolgono più persone. Egli si assume in pieno la responsabilità della ricerca di una soluzione equa che tenga conto dei bisogni e dei valori di tutti i familiari coinvolti. Non delega tale responsabilità al figlio, ma si erge a modello di comportamento per coltivare e trasmettere il valore della cooperazione e dell’alleanza.

     

     

    Uso del potere, evitamento, compromesso, negoziazione, sono alcune delle più note conflict resolution skills. Ognuna di queste è fondata sulla competizione tra i soggetti coinvolti, visti – possiamo affermare a scopo esemplificativo – come io/tu. L’apprendimento che passa è una certa diffidenza nella relazione in quanto, in caso di discordia, sarà chi è più forte o più capace a vincere sull’altro; al quale non resta che adattarsi o sopportare. Adattamento e sottomissione sono due condizioni che hanno come effetto a medio lungo termine malessere e distress. Essendo la relazione genitore figlio, una relazione a lunghissimo termine, utilizzare troppo spesso tali tecniche inquina il clima famigliare e incrina l’alleanza.

     

     

    Vale la pena rischiare?

     

     

    Gordon nel suo Genitori Efficaci (2006, La Meridiana) propone come tecnica di risoluzione del conflitto un metodo basato sulla filosofia del vincere insieme. Noto in tutto il mondo come WIN-WIN, consiste nell’uso della tecnica del problem solving come corsia preferenziale per trovare una soluzione al conflitto. Partendo da una relazione di fiducia fondata sull’alleanza educativa tra genitore e figlio, l’Autore afferma che ogni qual volta due persone entrano in contrasto perché reciprocamente il comportamento dell’uno minaccia la soddisfazione di un bisogno per l’altro, è possibile “cercare fino a trovarla” una soluzione che sia pienamente soddisfacente per entrambi.

     

     

    Il genitore, essendo l’adulto, assume si di sé la responsabilità del buon esito dell’esperienza. Egli usa l’ascolto attivo per comprendere profondamente i bisogni e i valori del figlio, verificando il suo intendimento. Comunica utilizzando una comunicazione assertiva, chiara e congruente, mai giudicante, i propri bisogni e valori al figlio, assicurandosi che li abbia effettivamente compresi. Facilita il bambino/ragazzo – e contribuisce – a immaginare creativamente soluzioni originali al problema. Coinvolge direttamente il figlio nella valutazione e nella scelta della soluzione migliore, progettandone la messa a terra e stabilendo criteri di verifica dell’efficacia.

     

     

    Ogni volta che come mamma ho seguito questi 6 passaggi, mi sono presa il potere di trasformare il conflitto in un’esperienza gratificante che ha avuto come effetto educare Gabriele all’empatia, al rispetto reciproco e alla cooperazione.

     

     

    Il genitore efficace condivide i suoi valori nel rispetto di quelli degli altri.

     

     

    Sto scrivendo questo articolo in un particolare momento storico. È il tempo del COVID-19. Una fase in cui le società occidentali moderne fondate sui valori dell’individualismo, dell’interesse privato e del massimo guadagno, si trovano ad aver bisogno del senso di responsabilità sociale, della capacità empatica di interesse verso l’altro e della volontà di cooperazione per sconfiggere un virus sconosciuto in una corsa contro il tempo.

     

     

    Io sono cresciuta coltivando valori cristiani come la condivisione, il bene comune, il rispetto reciproco, la fiducia nell’essere umano. Non è casuale che mi sia formata nell’ambito dell’Approccio Centrato sulla Persona di Carl Rogers. Non è fortuito che io abbia scelto di costruire le mie relazioni e comunicare con il metodo Gordon, piuttosto che con altre filosofie come la Programmazione Neuro-linguistica (PNL). Non è affatto difficile per me accogliere con rispetto e serietà le richieste del Presidente del Consiglio Dei Ministri quando ci coinvolge invitandoci all’autoregolazione e al cambiamento delle abitudini per il bene comune.

     

     

    Non posso dire lo stesso per Gabriele: 18 anni; nel pieno della seconda adolescenza, fase durante la quale il bisogno di relazione in generale e con il gruppo di pari in particolare è prioritario. Momento della crescita in cui l’affermazione del sé è la via maestra per costruire l’identità adulta e passa per il contrasto all’autorità e il superamento del limite.

     

     

     

     

    Gabriele, cresciuto in una società per la quale essere narcisisti è normale (nel senso statistico del termine); in una cultura fondata sulla prestazione e la competizione.

     

     

    Per Gabriele non è semplice. Non capisce. È arrabbiato, diffidente, offeso, frustrato, disorientato. Noi adulti gli stiamo chiedendo di fare un salto, senza paracadute, dall’IO al NOI.

     

     

    Noi? Che vuol dire noi? Chi siamo noi?

     

     

    Siamo di fronte ad una divergenza di valori. Inconsapevole, lui – consapevole Io. Cosa fare?

     

     

    Potrei mettermi in cattedra e moralizzare enunciando i principi cristiani, facendolo sentire inadeguato e in colpa per la sua superficialità …

     

     

    Cosa otterrei?

     

     

    Il genitore efficace, condivide i suoi valori nel pieno rispetto di quelli degli altri:

    • agendo lui stesso secondo quei valori;
    • ponendosi come modello e garante della bontà di quei valori;
    • insegnandone le ragioni, i presupposti e dimostrandone i risultati;
    • rendendosi disponibile come consulente per facilitare il figlio a scegliere liberamente i suoi valori;
    • ascoltando con comprensione ed empatia il figlio, fiducioso che lui saprà fare la scelta giusta.

    Per concludere, un genitore efficace ha nel suo repertorio queste 4 competenze. Forse possono sembrarvi complicate da mettere in pratica. Per esperienza personale, posso dirvi però, che i risultati positivi che si raccolgono nella ménage familiare sono più che sufficienti a motivarci verso il cambiamento di abitudini comunicative facilitando il passaggio dai metodi tradizionali di aiuto e confronto a stili che funzionano di più.

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

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